mercoledì 4 aprile 2018


Da Fabio



INCOMPARABILE CAREZZA
“Ho ripreso er Match…”.
1979, quattro parole del giovane padre e l’avventura con questa macchina bizzarra prese il via.
Dopo aver litigato intorno ai criteri di smontaggio, che già mettevano alla prova per l’individuazione delle chiavi da adottare (com’era oscuro il “passo inglese”!), cominciò il restauro.
Recuperata da un amico al quale l’aveva venduta vent’anni prima, er Match di mio padre era messo male assai, come testimoniavano il magnete, sul quale svettava senza vergogna un singolare coperchio a protezione delle puntine, e la sella, letteralmente tempestata di ribattini…ma non erano tanto quella scatoletta di Simmenthal e quel luccichio siderale a offendere la memoria del mio residuato bellico, quanto la bulloneria, le manopole e il faro Aprilia che ne sfregiavano tutti i profili.
All’epoca, privi di Internet, era piuttosto difficile risalire a una documentazione affidabile, quindi la ricostruzione storica si affidò a materiale cartaceo, ma anche questo, pur appassionatamente fornito da un simpatico funzionario Aci alla stazione Termini, risultava scarno; quindi cominciarono a nascere ipotesi, le più astruse, sulle prestazioni e su cosa fosse o non fosse originale. I ricordi degli anziani motociclisti, poi, confondevano ancora di più le già torbide acque della conoscenza indicate da mio padre.
A Roma, ad esempio, si parlava di un Match “capoccetta” e di un Match “capoccione”, il che induceva a fantasticare sulle più incredibili modifiche effettuate nel dopoguerra, mentre in realtà la portata virile della testata era solo dovuta alla differenza tra due modelli, la G3L e la G80, rispettivamente 350 e 500 di cilindrata.
Inutile dire che i pellegrinaggi nei santuari degli esperti dell’epoca si rivelarono a dir poco frustranti: i fratelli Latini, forti con i deboli e deboli con i forti, non uscirono neanche dall’officina quando arrivai in via dell’Angeletto per chiedere la loro grazia, e Della Bella, il padre di Sergio, era sempre troppo impegnato per prendere in cura la nostra Match.
Nel frattempo mio padre se la cavava bene, smontava e distribuiva i vari componenti tra cromatore e rettifica, confidando nelle capacità artistiche dei colleghi verniciatori di via Genova, al Comando dei Vigili del Fuoco di Roma, presso il quale prestava servizio. Il “rosso pompieri” della moto, mano a mano che se ne riassemblavano le componenti, diventava sempre più fiammante; ne uscì una moto per metà Guzzi e per metà mostro, che solo alla prima messa in moto recuperò la sua vera identità.
Il sound della meccanica, basso e regolare, stantuffava come un treno a vapore nella prateria, sensibile alle variazioni prodotte dalla leva dell’anticipo, la cui regolazione obbligava ad entrare in punta di piedi nei primi fondamentali della meccanica.
Alla guida, la G3L confermava la sua anima lightweight, sia nella guida cittadina che sulle statali, lì dove superare gli ottanta significava iniziare a interrogarsi sui propri istinti di autoconservazione.
Senza mai lamentarsi, se non attraverso incontenibili lacrime d’olio, la Matchless macinava chilometri giorno dopo giorno, sopportando le angherie del sottoscritto, cioè l’incompetenza di chi durante il pranzo era capace di lasciarla sostare in moto per un’ora e forse più, di chi non ascoltava lo stridore proveniente dal cambio, ormai quasi privo di lubrificante, di chi non regolò mai, dico mai, la tensione delle quattro catene, che pur regolavano tutta l’architettura. Qualche anno più tardi era ancora stupefacente metterla in moto dopo un lungo silenzio e trovarla pronta, fedele e recettiva. Eppure soffriva, soffriva talmente che il solo abbassarsi della leva di messa in moto determinava la fuoriuscita istantanea di olio dal carter motore.
Venuto a mancare mio padre fu ormai tempo di trovare un fiduciario che ne prendesse in carico le sorti, le origini, il futuro.
Già dalla seconda telefonata a Claudio Soli non ebbi più dubbi sul da farsi, tanto lapidaria fu la sua risposta: “Egregio signore, lei mi ha già fatto troppe telefonate per questa moto…”
L’amicizia con Claudio si consolidava mano a mano che riportava da Londra i pezzi sacri per il ripristino definitivo della moto, e ricordo che quando vidi lo Smiths rimasi senza parole… fu in quel momento che decisi di arrendermi all’attesa, perché quando segui un artista devi attendere la sua creazione oltre i confini temporali, trascendendo i limiti borghesi legati a onorari e scadenze.
Con il passare del tempo la Matchless diventava sempre più un’emanazione di Claudio, un “assetto” storico - motociclistico al cui interno mi riusciva sempre più difficile distinguere l’affetto per l’uomo dall’interesse per la macchina.
L’uno umanizzava l’altra, l’altra valorizzava l’uno; ciò che ne emergeva rinviava ad un vecchio adagio secondo il quale esistono tre tipi di motociclisti: chi va in moto, chi va sulla moto, e chi va nella moto.
Claudio, andando nella moto, definiva affettuosamente i miei limiti motociclistici, aiutandomi ad individuare quegli interessi che oggi potrei definire puramente contemplativi, ma non solo per le qualità estetico-classiche delle inglesi, più o meno condivisibili, quanto per la visione della vita, la weltanschauung che origina dalla relazione con queste moto.
Parafrasando Keats, potrei dire infatti che:
“LA GUIDA DI UNA MATCHLESS AUMENTA LA CAPACITA’ DI SVILUPPARE I PROPRI PENSIERI…ED INSEGNA A TOLLERARE IL PERSEVERARE DELLE INCERTEZZE…AD ATTRAVERSARE I MISTERI E I DUBBI, SENZA LASCIARSI ANDARE AD UNA AGITATA RICERCA DI FATTI E RAGIONI...” (D’AMELIA BY KEATS, 1817 - 2017)
Ed è perfettamente in linea con questa filosofia che Claudio e una decina di adepti riconsegnarono la G3l all’area che da anni ne reclamava i passaggi, la valle del Velino. Lì, in quel giorno di novembre del 1998, la temperatura non superò mai i due gradi centigradi, l’ideale per un motore d’epoca inglese in rodaggio, ma non propriamente indicata per un giovane motocilista italiano, ancorché incallito.
Liscia come l’olio – tanto olio - per sedici corti anni, affronta inesorabile valli e pianure, colline e altopiani finché un giorno, mentre apparentemente tranquilla sale in direzione Terminillo, un click sinistro ne denuncia il trauma interno, confermato facendo girare il motore a freddo: piegatura della valvola di aspirazione.
Nubi oscure all’orizzonte. Molto oscure.
Perché, soprattutto con i lettori che non hanno difficoltà a situarsi tra l’appassionato e il patologico, è inutile negare che la motocicletta, e l’inglese ancora di più, è un’estensione del Sé, e quando Lei non funziona passato, presente e futuro collassano inesorabilmente: le certezze antiche diventano fantasmi, e il presente inciampa in incontri che prefigurano un futuro senza riferimenti stabili.
Insomma, le figure paterne alle quali ancorarti, che “legavano” la tua passione ad amorevoli cure, sono scomparse e, con il passare del tempo i guai, se non ti organizzi, semplicemente aumentano.
Ora si tratta di trovare qualcuno con il quale interagire, non solo qualcuno al quale affidarti, e continuare a cercare non sempre significa aver già trovato.
Ed ecco il fortunato incontro con Sergio Gavoni di Milano che, oltre ad essere il presidente dell’AjsMatchlessClubItalia, è anche il nipote dell’importatore ufficiale di questa Casa negli anni Cinquanta: uno che sulla moto ha il completo dominio culturale e ne è passionalmente dominato. È lui ad indicarmi colui che diventerà un altro grande amico, Gabriele, di Ferrara, nelle mani del quale cambio e frizione troveranno tregua dall’olio in cui affogavano da sempre.
Ed è Sergio ad indicarmi Mauro Di Giovanni, giornalista e costante riferimento per gli inglesisti romani di ogni epoca , che mi offre una soluzione per risolvere la questione qui, in questa terra di nessuno: Peppe Frasca.
Nel tempo ho compreso una strana verità: la G3L è scomoda per chiunque vi si trovi davanti; sia perché è veramente vecchia sia perché NON È una moto di prestigio. E quindi chi ha faticato tanto per crearsi un nome seguendo Norton, Triumph, Bsa pluridecorate (o Matchless più importanti), ci pensa bene prima di giocarsi la reputazione con un residuato bellico comprato in un Campo Arar e, per di più, “civilizzato”.
Solo un temperamento particolare, metà temerario e metà ricercatore, manuale alla mano, potrebbe accogliere lucidamente i miei dubbi e interpretare l’indifferente distacco della G3L come una richiesta di attenzioni, accarezzandola.
Perché è questo che vuole la Matchless…ciò che Peppe ha compreso: essere desiderata, sedotta!
Magari abbandonata, purché sia lei a deciderlo…