Da Fabio
INCOMPARABILE CAREZZA
“Ho ripreso er Match…”.
1979, quattro parole del giovane padre
e l’avventura con questa macchina bizzarra prese il via.
Dopo aver litigato intorno ai criteri
di smontaggio, che già mettevano alla prova per l’individuazione
delle chiavi da adottare (com’era oscuro il “passo inglese”!),
cominciò il restauro.
Recuperata da un amico al quale l’aveva
venduta vent’anni prima, er Match di mio padre era messo male
assai, come testimoniavano il magnete, sul quale svettava senza
vergogna un singolare coperchio a protezione delle puntine, e la
sella, letteralmente tempestata di ribattini…ma non erano tanto
quella scatoletta di Simmenthal e quel luccichio siderale a offendere
la memoria del mio residuato bellico, quanto la bulloneria, le
manopole e il faro Aprilia che ne sfregiavano tutti i profili.
All’epoca, privi di Internet, era
piuttosto difficile risalire a una documentazione affidabile, quindi
la ricostruzione storica si affidò a materiale cartaceo, ma anche
questo, pur appassionatamente fornito da un simpatico funzionario Aci
alla stazione Termini, risultava scarno; quindi cominciarono a
nascere ipotesi, le più astruse, sulle prestazioni e su cosa fosse o
non fosse originale. I ricordi degli anziani motociclisti, poi,
confondevano ancora di più le già torbide acque della conoscenza
indicate da mio padre.
A Roma, ad esempio, si parlava di un
Match “capoccetta” e di un Match “capoccione”, il che
induceva a fantasticare sulle più incredibili modifiche effettuate
nel dopoguerra, mentre in realtà la portata virile della testata era
solo dovuta alla differenza tra due modelli, la G3L e la G80,
rispettivamente 350 e 500 di cilindrata.
Inutile dire che i pellegrinaggi nei
santuari degli esperti dell’epoca si rivelarono a dir poco
frustranti: i fratelli Latini, forti con i deboli e deboli con i
forti, non uscirono neanche dall’officina quando arrivai in via
dell’Angeletto per chiedere la loro grazia, e Della Bella, il padre
di Sergio, era sempre troppo impegnato per prendere in cura la nostra
Match.
Nel frattempo mio padre se la cavava
bene, smontava e distribuiva i vari componenti tra cromatore e
rettifica, confidando nelle capacità artistiche dei colleghi
verniciatori di via Genova, al Comando dei Vigili del Fuoco di Roma,
presso il quale prestava servizio. Il “rosso pompieri” della
moto, mano a mano che se ne riassemblavano le componenti, diventava
sempre più fiammante; ne uscì una moto per metà Guzzi e per metà
mostro, che solo alla prima messa in moto recuperò la sua vera
identità.
Il sound della meccanica, basso e
regolare, stantuffava come un treno a vapore nella prateria,
sensibile alle variazioni prodotte dalla leva dell’anticipo, la cui
regolazione obbligava ad entrare in punta di piedi nei primi
fondamentali della meccanica.
Alla guida, la G3L confermava la sua
anima lightweight, sia nella guida cittadina che sulle
statali, lì dove superare gli ottanta significava iniziare a
interrogarsi sui propri istinti di autoconservazione.
Senza mai lamentarsi, se non attraverso
incontenibili lacrime d’olio, la Matchless macinava chilometri
giorno dopo giorno, sopportando le angherie del sottoscritto, cioè
l’incompetenza di chi durante il pranzo era capace di lasciarla
sostare in moto per un’ora e forse più, di chi non ascoltava lo
stridore proveniente dal cambio, ormai quasi privo di lubrificante,
di chi non regolò mai, dico mai, la tensione delle quattro catene,
che pur regolavano tutta l’architettura. Qualche anno più tardi
era ancora stupefacente metterla in moto dopo un lungo silenzio e
trovarla pronta, fedele e recettiva. Eppure soffriva, soffriva
talmente che il solo abbassarsi della leva di messa in moto
determinava la fuoriuscita istantanea di olio dal carter motore.
Venuto a mancare mio padre fu ormai
tempo di trovare un fiduciario che ne prendesse in carico le sorti,
le origini, il futuro.
Già dalla seconda telefonata a Claudio
Soli non ebbi più dubbi sul da farsi, tanto lapidaria fu la sua
risposta: “Egregio signore, lei mi ha già fatto troppe
telefonate per questa moto…”
L’amicizia con Claudio si consolidava
mano a mano che riportava da Londra i pezzi sacri per il ripristino
definitivo della moto, e ricordo che quando vidi lo Smiths rimasi
senza parole… fu in quel momento che decisi di arrendermi
all’attesa, perché quando segui un artista devi attendere la sua
creazione oltre i confini temporali, trascendendo i limiti borghesi
legati a onorari e scadenze.
Con il passare del tempo la Matchless
diventava sempre più un’emanazione di Claudio, un “assetto”
storico - motociclistico al cui interno mi riusciva sempre più
difficile distinguere l’affetto per l’uomo dall’interesse per
la macchina.
L’uno umanizzava l’altra, l’altra
valorizzava l’uno; ciò che ne emergeva rinviava ad un vecchio
adagio secondo il quale esistono tre tipi di motociclisti: chi va in
moto, chi va sulla moto, e chi va nella moto.
Claudio, andando nella moto, definiva
affettuosamente i miei limiti motociclistici, aiutandomi ad
individuare quegli interessi che oggi potrei definire puramente
contemplativi, ma non solo per le qualità estetico-classiche delle
inglesi, più o meno condivisibili, quanto per la visione della vita,
la weltanschauung che origina dalla relazione con queste moto.
Parafrasando Keats, potrei dire infatti
che:
“LA GUIDA DI UNA MATCHLESS AUMENTA LA
CAPACITA’ DI SVILUPPARE I PROPRI PENSIERI…ED INSEGNA A TOLLERARE
IL PERSEVERARE DELLE INCERTEZZE…AD ATTRAVERSARE I MISTERI E I
DUBBI, SENZA LASCIARSI ANDARE AD UNA AGITATA RICERCA DI FATTI E
RAGIONI...” (D’AMELIA BY KEATS, 1817 - 2017)
Ed è perfettamente in linea con questa
filosofia che Claudio e una decina di adepti riconsegnarono la G3l
all’area che da anni ne reclamava i passaggi, la valle del Velino.
Lì, in quel giorno di novembre del 1998, la temperatura non superò
mai i due gradi centigradi, l’ideale per un motore d’epoca
inglese in rodaggio, ma non propriamente indicata per un giovane
motocilista italiano, ancorché incallito.
Liscia come l’olio – tanto olio -
per sedici corti anni, affronta inesorabile valli e pianure, colline
e altopiani finché un giorno, mentre apparentemente tranquilla sale
in direzione Terminillo, un click sinistro ne denuncia il trauma
interno, confermato facendo girare il motore a freddo: piegatura
della valvola di aspirazione.
Nubi oscure all’orizzonte. Molto
oscure.
Perché, soprattutto con i lettori che
non hanno difficoltà a situarsi tra l’appassionato e il
patologico, è inutile negare che la motocicletta, e l’inglese
ancora di più, è un’estensione del Sé, e quando Lei non funziona
passato, presente e futuro collassano inesorabilmente: le certezze
antiche diventano fantasmi, e il presente inciampa in incontri che
prefigurano un futuro senza riferimenti stabili.
Insomma, le figure paterne alle quali
ancorarti, che “legavano” la tua passione ad amorevoli cure, sono
scomparse e, con il passare del tempo i guai, se non ti organizzi,
semplicemente aumentano.
Ora si tratta di trovare qualcuno con
il quale interagire, non solo qualcuno al quale affidarti, e
continuare a cercare non sempre significa aver già trovato.
Ed ecco il fortunato incontro con
Sergio Gavoni di Milano che, oltre ad essere il presidente
dell’AjsMatchlessClubItalia, è anche il nipote dell’importatore
ufficiale di questa Casa negli anni Cinquanta: uno che sulla moto ha
il completo dominio culturale e ne è passionalmente dominato. È lui
ad indicarmi colui che diventerà un altro grande amico, Gabriele, di
Ferrara, nelle mani del quale cambio e frizione troveranno tregua
dall’olio in cui affogavano da sempre.
Ed è Sergio ad
indicarmi Mauro Di Giovanni, giornalista e costante riferimento per
gli inglesisti romani di ogni epoca , che mi offre una soluzione per
risolvere la questione qui, in questa terra di nessuno: Peppe Frasca.
Nel tempo ho compreso una strana
verità: la G3L è scomoda per chiunque vi si trovi davanti; sia
perché è veramente vecchia sia perché NON È una moto di
prestigio. E quindi chi ha faticato tanto per crearsi un nome
seguendo Norton, Triumph, Bsa pluridecorate (o Matchless più
importanti), ci pensa bene prima di giocarsi la reputazione con un
residuato bellico comprato in un Campo Arar e, per di più,
“civilizzato”.
Solo un temperamento particolare, metà
temerario e metà ricercatore, manuale alla mano, potrebbe accogliere
lucidamente i miei dubbi e interpretare l’indifferente distacco
della G3L come una richiesta di attenzioni, accarezzandola.
Perché è questo che vuole la
Matchless…ciò che Peppe ha compreso: essere desiderata, sedotta!
Magari abbandonata, purché sia lei a
deciderlo…